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Lo sviluppo dell'olivicoltura nel Lazio

L'olivicoltura laziale dall'epoca repubblicana a quella rinascimentale

In epoca repubblicana

In tarda epoca repubblicana si cominciò a sviluppare nel Lazio un’importante economia basata sull’olio di oliva e le olive da mensa, anch’esse molto consumate dai romani prima, durante e dopo i pasti. Questi prodotti, derivanti da un’intensa olivicoltura, erano dunque beni di primaria importanza per Roma. Di olio di oliva poi se ne faceva grande uso non solo per l’alimentazione, ma anche per la medicazione di ferite, per la conservazione degli alimenti (che amavano mettere sott’olio ancor più che sotto sale), l’illuminazione ecc... In questo periodo cominciarono a formarsi nel Lazio i primi grandi oliveti che si estendevano per tutto l’Agro Romano antico. Fu così che nel centro Italia cominciò un fiorente commercio d’olio e di olive. Ciò rese ricchi molti commercianti della zona che, riunitisi in una corporazione, per soddisfare le massicce richieste del mercato romano finirono con l’importare grandi quantità di olio e di olive dalla Grecia, ancor prima che dall’Andalusia. Tra questi proveniente da Tibur, l’odierna Tivoli, vi era il tiburtino Marcus Octavio Herennius, ex religioso e osservante del culto di “Erculaneum Tibur” protettore del commercio e della transumanza praticato a Tivoli nel Santuario di Ercole Vincitore prima ancora della sua edificazione durante il II secolo a.c. La storia narra che durante un viaggio per importare olio e olive dalla Grecia, questo ricco commerciante fu attaccato da terribili pirati, ai quali sfuggì solo grazie all’intercessione di Ercole che gli apparve in sogno offrendogli il suo aiuto. Per questo motivo Herennius nel 120 a.c., oltre che donare un decimo di ogni suo ricavato, come prescriveva al tempo l’uso della “decima”, eresse ad Ercole, nei pressi del Foro Boario di Roma, un tempio rotondo con alte e belle colonne di costoso marmo greco e dedicando al “semidio” anche una statua (il tempio ancora insiste, in buone condizioni, in piazza Bocca della Verità, mentre la statua è andata persa). Ercole diventò cosi anche protettore della corporazione degli oleari. Da questi fatti, dunque, ebbe inizio il culto di “Ercole Olivario” (che oggi da il nome anche ad un prestigioso premio nazionale sugli oli di oliva extravergini).

L'olio di Hadrianus

Nei secoli successivi l’olivicoltura dell’Agro Romano antico si estese, e fu anche per questo motivo che nel secondo secolo d.c. l’imperatore Adriano fece costruire la sua lussuosa dimora “Extra Moenia” presso Tivoli. Qui, infatti, oltre ad avere abbondanza di acqua e travertino per la costruzione ed il mantenimento della villa, poteva contare su un’elevata produzione agricola di qualità, e soprattutto di sterminati oliveti che gli garantivano olio di buona qualità per uso alimentare, per uso cosmetico e per illuminare gli ampi spazi della sua villa con fiaccole e lampade ad olio. Gli uliveti arrivavarono a coprire, oltre che la terra tiburtina, anche gran parte del territorio sabino. E’ infatti in questa epoca che l’olivicoltura del Lazio raggiunse il suo maggior sviluppo.

L'arrivo dei barbari, l'interruzione e la successiva ripresa dell'olivicoltura

Successivamente, a seguito delle invasioni barbariche, la coltivazione dell’ulivo in Italia subì una battuta di arresto che fu superata solo nel tardo medioevo, quando numerosi monaci Circensi e Benedettini convinsero i contadini a tornare a coltivare gli ulivi. Si suppone quindi che nel centro Italia intorno all’anno mille l’olivicoltura nei terreni della Sabina cominciò a riprendersi per opera dei monaci Benedettini di Farfa. Per la spinta degli stessi Benedettini di Farfa si riprese probabilmente anche la coltivazione degli ulivi a Tivoli. Lo si può dedurre conseguentemente al fatto che nel 997 la chiesa dei santi Adriano e Natalia, più tardi Santa Maria Maggiore (a.1084) di piazza Trento a Tivoli, fu donata da una famiglia Tiburtina insieme ad un orto, un terreno alberato (presumibilmente di ulivi) ed altri fondi, all'abbazia di Farfa (registro di Farfa n. CDLIII. Bruzza op. cit p.12). Accanto alla chiesa divenuta loro “succursale”, i Benedettini di Farfa innalzarono l’adiacente monastero, che dominava su i fertili orti tiburtini, al di là dei quali si estendevano e si estendono tutt’oggi gli uliveti di Quintiliolo, una zona collinare posta di fronte Santuario di Ercole Vincitore dove, in tarda epoca Repubblicana, sorgeva la Villa di Quintilio Varo, che è oggi una piana di sei ettari ricoperta interamente da uliveti, contigui tra quelli di Villa Adriana e della Sabina. I Benedettini di Farfa lasciarono la chiesa ed il monastero nel 1256 che divenne prima convento dei Frati minori Conventuali e poi, nel 1461, convento dei Frati Minori Osservanti . Nel 1550 il convento divenne sede del Governatore di Tivoli Cardinale Ippolito II D’Este, il quale lo trasformò nella sua lussuosa dimora, la famosa Villa D’Este che con il bel giardino all’italiana è oggi un visitatissimo sito UNESCO. Tivoli, grazie alla ricchezza di acqua, vantava all’epoca ben 18 mulini usati come frantoi idraulici, ed il paesaggio dell’Agro Romano era dominato da immense distese di oliveti che furono successivamente immortalati anche in alcune tele di famosi pittori del “Grand Tour”. Tali oliveti sono quelli che ancora oggi regalano oli di elevatissimo pregio, come quelli della DOP Sabina, di cui fanno parte molti comuni della provincia di Rieti e di quella di Roma.

(di Mauro Gaudino © - copyright 2017)

 
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