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Il pizzutello di Tivoli, uva di Villa d'Este

Una tradizione agricola da difendere, come l'arte e la cultura della cittadina laziale che vanta due importanti siti Unesco.

10 aprile 2015 - Tivoli

Il pizzutello di Tivoli è una pregiata uva le cui carat-teristiche organo-lettiche sono legate a fattori pedo-climatici, irripetibili in altri luoghi.
Della fertilità della terra tiburtina abbiamo notizia sin dall’antica Roma, grazie agli scritti lasciati da Columella, Plinio e Strabone, che decantavano il territorio soprattutto per la frutta, e quindi per il vino e per l'olio che se ne ricavavano. Tale fertilità è testimoniata anche dall'esistenza di numerose specie di piante che qui crescono rigogliose.
Per rendersene conto basta visitare il parco di “Villa Gregoriana”, oppure dare uno sguardo agli uliveti tutti intorno alla città di Tivoli dove si trovano piante ultracentenarie.
Dell'uva pizzuta tiburtina si hanno tracce documentate sin dal 1575, quando Eleonora d'Este, figlia del duca di Ferrara Ercole II, in visita alla villa del defunto zio Ippolito, scriveva alla famiglia di Ferrara: “Negli orti della villa di Tivoli vi è abbondanza di pizzutello, che i paesani chiamano “uva corna” a motivo della sua forma allungata da sembrare un cornetto piccolissimo. Ve ne è di due qualità, bianca e nera; ma le donzelle preferiscono la nera perchè credono che fa l'occhi belli”.
Tale carteggio conferma che già in epoca rinascimentale il pizzutello era conosciuto e consumato regolarmente dalla popolazione locale. Tuttavia, nella “Villa d'Este”, era utilizzata più come ornamento del bel giardino all'italiana, che come uva da tavola.
Il pizzutello, in quel periodo, non era ancora un frutto di pregio, come invece diventò molti anni dopo, con la deviazione del fiume Aniene che attraversa la città.
La qualità di questa uva, infatti, ebbe una significativa svolta nel 1845, dopo che Papa Gregorio XVI, per evitare i continui e disastrosi allagamenti della città di Tivoli, fece deviare le acque dell'Aniene un po' più distante dal centro abitato.
Grazie a quell’intervento, il fiume ora precipita per circa 160 metri nella sottostante “Valle dell'Inferno”, terreno dove si coltiva il pizzutello, creando la cascata del parco di “Villa Gregoriana”.
L’Aniene, con l'impatto sulla roccia, nebulizza le sue acque in tutta la vallata. Ciò crea condizioni pedoclimatiche migliori per lo sviluppo di questa pianta, che richiede molta acqua e predilige ambienti particolarmente umidi, e che acquisisce, così, caratteristiche organolettiche uniche.
Fino a pochi anni fa, il pizzutello cresceva vigorosamente in tutta la valle sottostante per circa 60 ettari. Oggi però la sua coltivazione si è ridotta a meno di 10 ettari, per lo più praticata da famiglie che si tramandano questa tradizione.
La produzione del pizzutello tiburtino è minacciata, come del resto gran parte della produzione primaria dell'agricoltura italiana, dall'effetto della globalizzazione. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i produttori del delizioso frutto, che in Italia viene coltivato anche a Latina e in Puglia. E all'estero è prodotto in Francia, Spagna, Algeria e Argentina.
Gli italiani ormai conoscono il pizzutello solo attraverso la grande distribuzione organizzata, ma questo, spesso, non ha nulla a che vedere con la pregiata “uva corna” di Tivoli, che, all'assaggio, si distingue per avere, anche in piena maturazione, la polpa più croccante e compatta rispetto alle varietà concorrenti.
Come già accennato, a Tivoli si coltivano due tipi di uva “pizzuta”: la bianca e la nera. La prima si presenta con dolci chicchi turgidi, carnosi, succosi e croccanti. La pellicina che ricopre l'acino è molto sottile e digeribile. A completa maturazione, l'uva acquista dei piacevoli riessi dorati. La nera ha simili caratteristiche ma con la pellicina più spessa.
Questa particolarità la rende più resistente alla disidratazione e quindi adatta ad una più lunga conservazione.
Durante i primi decenni del 1900, l`uva pizzutello riscosse molto successo tra la popolazione e, intorno agli anni Cinquanta, l’abbondante produzione era in gran parte assorbita dai mercati romani. Solo negli ultimi decenni c’è stato un netto declino, dovuto al progressivo abbandono dei campi, perché questa attività è oggi considerata poco retributiva

Villa D'Este - Tivoli

rispetto alla quantità del lavoro che richiede.
Tale abbandono mette a serio rischio il futuro di questa prelibata uva tiburtina, unica nel suo genere e che nel passato ha avuto molti estimatori nel mondo della cultura, tra i quali Franz Liszt, che durante i suoi frequenti soggiorni nella Villa d'Este di Tivoli, amava cogliere e mangiare i deliziosi acini della sua uva preferita, che, a detta di molti, arrivava a consumare anche tre volte al giorno.

(di Mauro Gaudino © - copyright 2016)

 
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